Tempo di lettura: 9 minuti

Il 12 settembre 2011, sull’onda di un appello lanciato a fine luglio sul sito Adbusters – sito che indica la volontà di “cambiare il modo in cui viene diffusa l’informazione da parte di coloro che esercitano il potere e su come esso viene prodotta nella nostra società” – i primi “attivisti” hanno dato il via al movimento Occupy Wall Street (OWS) a New York.

 

La polizia di New York ha impedito loro di piazzare le tende nel bel mezzo del centro mondiale della finanza. Alla fine le  hanno impiantate nel Zuccotti Park, situato vicino a “Ground Zero”, nel Lower Manhattan. La piazza è stata rinominata “Liberty Square”, facendo riferimento alla Tahrir Square del Cairo.

 

Da allora, il movimento si è  esteso in un gran numero di città degli Stati Uniti: il 6 ottobre erano più di 75. Agli inizi di ottobre questo movimento sociale ha raggiunto dimensioni inusuali con l’adesione e il sostegno di numerose sezioni sindacali e di diverse organizzazioni di quartiere (community groups).

 

Raggruppa numerose componenti della società: persone la cui casa è stata confiscata (perché non erano in grado di far fronte ad interessi ipotecari da usura); studenti/esse indebitati fino al collo e costretti ad abbandonare gli studi; disoccupati e numerosi emarginati di una società colpita dalla più ampia crisi dopo la Seconda Guerra mondiale. Il movimento tende ad espandersi anche nei settori dei salariati del pubblico impiego e del privato. Una tendenza che deve essere ancora confermata.

 

Due slogan ne disegnano il profilo. Il primo: “Noi siamo il 99%” sottintendendo che solo l’1% della popolazione comanda e trae il maggior profitto da questo sistema. Questo rapporto tra il 99 e l’1 % sottolinea anche il bipolarismo estremamente marcato nella ripartizione della ricchezza sociale prodotta negli Stati Uniti. E poi, con lo slogan “Le banche sono state salvate. Noi siamo stati svenduti”  viene contestata la politica che il governo e il fatto che  i “padroni di Wall Street” – che rappresentano il capitale finanziario –  esercitano un’influenza determinante sulle opzioni dell’amministrazione Obama.

 

Il New York Times dell’8 ottobre 2011 dedicava a OWS un articolo supplementare, centrato sul  ruolo della reti sociali e della loro organizzazione, dimenticando i contenuti e le basi sociali. Ma la giornalista Jennifer Preston è costretta a render conto degli argomenti dibattuti in tutti i raggruppamenti degli Stati Uniti: da una parte, la questione dell’impiego, “della cupidigia delle imprese e dei tagli  ai bilanci”; dall’altra, i problemi “più immediati” con i quali è confrontata la popolazione delle città.

 

Viene sottolineata anche la reazione brutale della polizia. Il 1° ottobre, quella di New York ha arrestato 700 manifestanti, che in realtà  non bloccavano  il ponte di Brooklyn, contrariamente a quanto affermato dai media su scala internazionale.

 

L’OWS non nasce dal nulla

 

Questo movimento e la sua dinamica non nascono dal nulla, in un paese dove più di 46 milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povertà. Le ultime statistiche sull’occupazione fanno stato di una situazione di povertà e di crisi  dalla quale gli Stati Uniti non sono mai usciti dal 2008. Il tasso di povertà raggiunge il 9,1 % – senza contare i tempi parziali imposti; i salari di miseria che li accompagnano e le persone “scoraggiate”, che non cercano più un lavoro e sono escluse dalle statistiche. Nel settembre 2011 la suddivisione della disoccupazione era la seguente: 14 milioni di disoccupati/e registrati/e; 9,3 milioni di “tempi parziali involontari”, cioè coloro che cercano un tempo pieno e non lo trovano; 2,6 milioni  “inseriti marginalmente nel mondo del lavoro”, cioè coloro che al momento dell’inchiesta non cercano attivamente un lavoro. Un totale di 25,9 milioni. Quanto alla parte di disoccupati che sono tali da più di sei mesi, essa raggiunge quasi il punto massimo della primavera 2010 (cioè il 44,6%  nel settembre 2011), mentre nell’aprile 2010 era del 45,6%.

 

Poiché nel corso degli ultimi cinque mesi del 2011,  la creazione di posti di lavoro è in ribasso, la disoccupazione aumenterà nei prossimi mesi; non solamente a causa del rallentamento economico, ma anche perché la crescita della popolazione attiva è superiore alla creazione di posti di lavoro.

 

A questo vanno aggiunte poi le riduzioni permanenti di impiego nel settore pubblico, in particolare nei Municipi e negli Stati fortemente indebitati. Sono circa 34’000 i posti pubblici soppressi  durante il solo mese di settembre 2011. Sono stati colpiti in particolare gli effettivi nell’insegnamento secondario: insegnati, bibliotecari, impiegati amministrativi, ecc. 

 

Heidi Shierhoolz del Economic Policy Institute valuta a 278’000 l’ammontare dei tagli sui salariati/e nell’insegnamento secondario dal 2008, mentre avrebbero dovuto aumentare di 48’000 per far fronte al maggior numero di giovani da scolarizzare.  Il fosso “contabile” nel settore dell’educazione pubblica tra il bisogno di insegnanti e l’effettivo attuale potrebbe dunque essere stimato a  circa 326’000 unità lavorative.

Tra il 2008 e il 2010 il numero dei bambini che vivono in povertà è cresciuto di almeno 2,3 milioni. Proprio coloro che più avrebbero bisogno di un supporto scolastico ben fornito e solido. Ecco uno tra i molti impegni assunti  che l’amministrazione Obama non è stata in grado di rispettare.

 

Questo spiega il grosso contributo degli insegnanti, dei loro sindacati o della Coalition for Public Education nei diversi movimenti OWS nelle città.

 

Anche e soprattutto a Madison (Wisconsin), perché la rivolta sociale  contro la politica brutale di austerità del governatore  Scott Walker, ha risvegliato una parte della popolazione, con i suoi obiettivi, le sue modalità di azione, e la convergenza sociale che è stata in grado di  concretizzare. A Madison, l’azione e le iniziative degli insegnanti sono state determinanti.

 

Incontri che cambiano!

 

I resoconti tratti dalle varie manifestazioni permettono di captare una parte dello spirito che anima i loro partecipanti. Il 5 ottobre a New York, un salariato della FedEx (ditta transnazionale di logistica, attiva anche in Svizzera), manifestava con il suo abito di lavoro e confidava a un giornalista: “Tentano continuamente di caricarci di più lavoro. Facciamo 40 spedizioni e ne vogliono 50. Ne facciamo 50 e ne vogliono 60” Non vi è un sindacato nella sua impresa. Confessa: “Non ho mai partecipato a una manifestazione, per me si tratta della prima volta.” Al suo fianco, alcune migliaia di studenti della New York University, della Columbia University, e della New School.

 

Prendendo la parola in quell’occasione, Bob Master del Communication Workers of America (uno dei due sindacati dei salariati dei mezzi di comunicazione e dei media) dichiara: “Guardatevi at- torno, ecco la democrazia. Occupy Wall Street raccoglie lo spirito del nostro tempo. Qui, è Madison. Qui, è il Cairo. Qui, è la Tunisia. Occupy Wall Street ha iniziato un movimento nel quale partecipiamo tutti, in tutto il mondo”.

 

Al di la dell’aspetto retorico, Master sottolinea una specificità di questo movimento che agli inizi alcuni volevano ridurre ad espressione mimetica di qualche “indignato” che segue la moda. Di fatto, come tutti i movimenti sociali che affondano le radici in una società confusa, l’ OWS è  diventato – in maniera embrionale – il punto d’incontro e di riconoscimento tra persone segnate da un isolamento sociale accentuato da questa fase del capitalismo. Ed ha magnetizzato organizzazioni sociali più tradizionali, sorprendendole a più riprese.

 

Per coloro che in questi ultimi anni hanno sperimentato difficoltà enormi per portare avanti lotte di resistenza sociale, coronate di successo anche se parziale, questo movimento apre  alcuni orizzonti o, per lo meno,  rivela quante risorse si nascondano nella cosiddetta società civile.

 

Danny Lucia, in un scritto apparso su una  pubblicazione dell’International Socialist Organisation- ISO,  annota che i partecipanti alla marcia del 5 ottobre a New York – a differenza delle manifestazioni tradizionali organizzate dai sindacati – si mescolavano, discutevano delle loro situazioni personali, non sfilavano nei “loro” blocchi sindacali. E alla fine della marcia non si disperdevano per subito rientrare a casa, ma discutevano tra di loro, ascoltavano l’intervento del cineasta Michael Moore o esaminavano i libri offerti dalla “biblioteca della libertà”.

 

Bisogna anche sottolineare la partecipazione massiccia degli infermieri e operatori sanitari, membri del National Nurses United. Gli attacchi contro il sistema della sanità pubblica sono perlomeno pari a quelli contro l’educazione. Il che spiega questa forte partecipazione organizzata.

 

I presupposti di un programma sociale di contestazione

 

Le differenze tra il  movimento “Global Justice” della fine degli anni ’90 – che si concentrava sui temi legati alla contestazione delle politiche dell’OMC (Organizzazione mondiale del commercio), del FMI e della Banca Mondiale –  e l’OWS sono da ricondurre alla diversa situazione economica. La desolazione sociale  sociale che oggi regna negli USA non ha paragoni. L’attacco dell’11 settembre 2001 aveva offerto all’amministrazione Bush un’occasione unica: forgiare un’unità nazionale ed un consenso sindacale simile a quello del periodo della guerra fredda.

 

Nel contesto attuale, per l’OWS aumenta l’esigenza di far crescere la sua capacità di aggregazione e di stimolare l’emergere di un nuovo blocco sociale, di “occupare insieme” come propongono i sindacalisti attivi, nelle loro azioni di lotta. Analizzando le diverse modalità nelle varie città, il movimento può cercare di far convergere le rivendicazioni che chiedono nuovi  posti di lavoro e meno tagli nel settore pubblico con le tematiche che stanno alla base della sua dichiarazione iniziale che afferma che: “la vera democrazia non può essere raggiunta quando il processo [democratico] è sottomesso al potere economico”.

 

Nella lista delle constatazioni scaturite dall’assemblea di New York del 20 settembre 2011 troviamo gli elementi di un programma sociale di una certa ampiezza: “hanno preso le nostre case con mezzi illegali, pur non essendo in possesso della cartella ipotecaria iniziale” [meccanismo tipico dei subprimes]; “hanno salvato le banche arraffando impunemente i contributi dei contribuenti, mentre i dirigenti ricevevano bonus esorbitanti”; “hanno aumentato le disuguaglianze e le discriminazioni sui posti di lavoro, sulla base dell’età, del colore della pelle, del sesso e dell’orientamento sessuale”; “hanno cercato incessantemente di togliere ai/alle salariati/e il diritto di negoziare per un salario migliore o condizioni di lavoro più sicure”; “hanno bloccato decine di migliaia di studenti indebitandoli con decine di migliaia di dollari per pagare i loro studi, studi che rappresentano un diritto della persona umana”; “hanno subappaltato costantemente il lavoro, utilizzando questi subappalti come leve per ridurre il salario e le coperture sociali relative alla protezione della salute”.

 

La lista continua, tenendo conto anche delle questioni causate dalla crisi ecologica e dalla politica dei media dominanti, quelle delle case farmaceutiche e anche degli abusi verso la forza lavoro rappresentata dai migranti. In un articolo pubblicato da Socialist Project (6 ottobre 2011) Pham Binh riporta le considerazioni di un partecipante ad una delle manifestazioni: “Mark Purcell è  giunto dal centro della Pennsylvania per partecipare al OWS ed afferma di voler partecipare a tutte le occupazioni che verranno organizzate a Filadelfia. Marc dice di essersi reso conto che il sistema era completamente marcio quando lavorava in un deposito di merci a Allentown [Pennsylvania], come operaio interinale. Afferma che le imprese approfittavano degli immigrati illegali perché non avevano alcun diritto legale e non avevano protezione. Quando si è lamentato per le condizioni di lavoro, l’impresa per la quale lavorava gli ha detto di rivolgersi all’agenzia di lavoro temporaneo, che lo ha subito licenziato. Era furioso nel constatare come queste imprese subappaltavano il lavoro ed utilizzavano la situazione per sfuggire alle loro responsabilità per quanto riguarda  condizioni di lavoro legali.”

 

“Occupare insieme”

 

Le informazioni sul movimento OWS si moltiplicano. Certi aspetti meritano sicuramente di essere sottolineati soprattutto perché sembrano indicare elementi di un nuovo processo sociale.

 

A New York Jenny Brown e Mischa Gaus scrivono sul bollettino Labor Notes del 6 ottobre 2011: “A New York [il 5 ottobre] le bandiere, gli striscioni, i cappellini e le tee-shirt indicavano la presenza di lavoratori dei treni e dei bus, dei metro e di impiegati dell’amministrazione universitaria, di musicisti, di impiegati dei grandi magazzini, di insegnati e di salariati/e del settore sanitario. Ma la maggior parte dei manifestanti non sembravano essere membri di un sindacato”.

 

E’ stata comunque l’occasione per i militanti sindacali di ricordare alcuni slogan molto giusti quali “Hanno salvato le banche; ci hanno svenduti” – facendo da eco a lotte operaie, come quella contro la chiusura dell’impresa – la Republic Windows and Doors, nel 2008, a Chicago; o anche quella dei salariati  del settore della telefonia fissa della grande ditta Verizon.

 

Queste lotte e i loro fallimenti possono portare a molte riflessioni ed ad inserire le azioni –  molteplici e creative – del OWS in una storia politica e sociale. Passato e presente si intrecciano per, forse, designare il futuro.

 

Ed allora, il sostegno del Local 100 del New York Transport Workers  rappresenta un fatto  di grande importanza alla luce dell’impatto avuto dallo sciopero del 2005. Marvin Holland, responsabile  per questo sindacato dell’attività nei quartieri, e che rappresenta a New York 38’000 autisti di bus e treni, dichiara: “Noi sosteniamo Occupy Wall Street perché siamo d’accordo al 99% con quello che dicono i manifestanti. Hanno ragione al 100% quando affermano che le banche sono all’origine del problema. Abbiamo membri dal TWU (Transport Workers Union), Local 100, presenti qui fin dal primo giorno”. Risorge dunque l’idea forte dell’”Occupiamo insieme”.

 

Il presidente del sindacato TWU, Local 100, John Samuelson, durante un incontro televisivo spiega: “Vi è  un clima di disperazione, io credo, tra i lavoratori e le famiglie dei lavoratori di questo paese: una situazione che non é stata recepita da coloro che governano. Vi sono molti milionari al Congresso che non hanno nessuna idea di ciò che significhi nutrire un bambino o coprire un corso di studi o anche accollarsi gli interessi di un  prestito ipotecario. Molti in governo non hanno più alcun contatto con il mondo reale. Queste proteste hanno messo in luce la disuguaglianza della ricchezza negli Stati Uniti, così come si é sviluppata nel corso degli ultimi decenni. Penso che uno dei grandi vantaggi legati al fatto che il movimento operaio organizzato entri in questa lotta possa risiedere nella sua capacità di riconoscere questo messaggio…. e di articolarlo a nome delle famiglie dei salariati, siano essi sindacalizzati oppure no”. C’è da sperarlo, purché la presenza sindacale non cerchi di cancellare l’aspetto plurale di questo movimento.

 

La presenza degli attivisti, dei militanti sindacali e della sinistra politica organizzata si differenzia nelle varie città in modalità diverse. A Los Angeles, dove l’occupazione  è  organizzata davanti al Municipio, alcuni membri del SEIU (Service Employees International Union), Local 1021, hanno raggiunto molto presto l’OWS. Questo sindacato è  uno dei pochi che si sta rafforzando negli Stati Uniti.

 

Con la crisi finanziaria e la confisca delle case, la parola d’ordine “Fate pagare alle banche” è  diventato un punto aggregante. La congiunzione si è realizzata lo scorso  6 ottobre con l’Alliance of Californians for Community Empowerment (ACCE) che nei quartieri si occupata attivamente della la difesa dall’alloggio, della salute e dell’educazione. Questo tipo di legame avviene in numerose città e suscita discussioni sulle modalità di organizzazione del movimento per garantire la presenza, durante le assemblee, dei salariati/e che hanno un lavoro ed un’organizzazione della loro vita quotidiana diversa da quella di una frazione attiva e militante del OWS.

 

L’emergere di questo movimento può forse portare ad un cambiamento, anche se ancora molto limitato, delle linee politiche USA. La bipolarizzazione, Tea Party da un lato e dall’altro il governo Obama – portatore di sua serie di delusioni – potrebbe risultarne turbata. Potrebbe anche aumentare le possibilità di un intervento sociale e politico che possa essere sostenuto da una componente che non sia implicata in questo dilemma contorto.

 

Ma non spingiamoci troppo avanti. La capacità di controllo e di canalizzazione del Partito democratico, in particolare su scala locale, resta forte. Le dichiarazioni iniziali di Obama ne sono la dimostrazione.   

 

* articolo pubblicato sul sito www.alencontre.org lo scorso 8 ottobre. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà.

Print Friendly, PDF & Email