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In un periodo caratterizzato da “fake news” e “verità alternative” un’informazione corretta e completa da parte delle autorità dovrebbe essere una priorità. Esistono pure direttive sull’informazione e la comunicazione che dovrebbero garantire un’informazione oggettiva e completa da parte dell’amministrazione cantonale che raggiunga il maggior numero di persone possibile con un linguaggio adeguato, eppure per informarsi correttamente su certi temi il cittadino è obbligato a cercarsi da solo le informazioni.

L’esempio lampante è contenuto nella risposta alla domanda 5 dell’interrogazione 29.19:

Per quel che riguarda il mercato del lavoro, tema richiamato dall’interrogazione, i principali indicatori sono presentati con regolarità nel “Panorama statistico del mercato del lavoro”, che viene aggiornato ogni qualvolta vi siano delle modifiche di dati. In considerazione di questo fatto, si ritiene di offrire con la statistica pubblica un prodotto di qualità, sempre attuale, al servizio delle esigenze del cittadino interessato alla tematica.

Il problema non è la qualità dell’offerta della statistica pubblica, ma l’informazione e diffusione di questi dati. Il “Panorama statistico del mercato del lavoro” è consultabile sulla pagina dell’Ufficio cantonale di statistica (Ustat) e contiene un serie di tabelle in cui vengono riassunte le principali cifre sul tema. Questo implica che un normale cittadino debba tenere d’occhio il sito dell’Ustat, verificare quando ci sono aggiornamenti, consultare gli aggiornamenti, saper leggere le tabelle e i grafici e trarne le dovute conclusioni, un compito che nemmeno la maggior parte dei politici e dei giornalisti è in grado di svolgere. Ricordiamo che uno degli obbietti fissati nelle direttive sull’informazione è “raggiungere il massimo numero possibile di destinatari nelle diverse fasce della popolazione, sviluppando tutti i canali di comunicazione disponibili, con un registro e un linguaggio di volta in volta adeguati” e che – almeno a parole – anche il Consiglio di Stato è “interessato alla tematica”, anzi ne ha fatto una sua priorità (sempre a parole), non si capisce quindi perché la scelta di lasciar al cittadino l’informazione “fai da te”.

L’Ustat, che attualmente dipende dal Dipartimento delle finanze e dell’economia, si limita a pubblicare i dati e gli studi, senza inviare comunicati ai media o organizzare conferenze stampa, neppure quanto si tratta di informazioni di rilievo. In un vecchia intervista (1) Elio Venturelli, ex direttore dell’Ufficio di statistica, ricorda come ai tempi in cui Marina Masoni era in a capo del DFE, era stato chiesto all’Ustat di raccogliere dati, ma di non commentarli. A dieci anni di distanza, e malgrado ora vi sia una legge sulla statistica pubblica, il risultato è lo stesso: il cittadino deve essere in grado di consultare i dati “grezzi” se vuole essere informato. Il DFE infatti non fornisce nessun elemento di analisi. In quell’intervista Venturelli chiedeva una maggiore indipendenza dell’Ustat dagli “umori politici” e una diversa collocazione in seno all’amministrazione pubblica che tenesse “conto della trasversalità dell’attività statistica e del fatto che si tratta di uno strumento al servizio, non solo dell’amministrazione pubblica, ma di tutta la società.”

La statistica pubblica infatti offre informazioni in tutti gli ambiti, non solo in quello economico, ed è per definizione un bene comune. Oltre a non rispettare la pluralità dell’attività statistica, la subordinazione dell’Ustat al DFE appare doppiamente ingiustificata visto che gli studi economici e altri “approfondimenti” vengono commissionati ad istituti esterni all’amministrazione, come dimostra anche il mandato affidato all’IRE. Vi è poi un problema di “priorità”: il DFE ha deciso di puntare su alcuni temi, come ad esempio la responsabilità sociale delle imprese, anche per quanto riguarda la comunicazione, e altre tematiche risultano tralasciate. Ad esempio lo studio commissionato alla Supsi dal cantone sulla responsabilità sociale della imprese è stato presentato in una conferenza stampa in pompa magna alla presenza del capo divisione Economia Stefano Rizzi, del presidente della Camera di commercio Luca Albertoni, la coautrice dello studio Jenny Assy, il direttore dell’Aiti Stefano Modenini e Alberto Stival, vicedirettore del Centro di studi bancari. Uno studio che le stesse autrici definiscono “esplorativo” e che si basa unicamente sulle interviste ai responsabili di una trentina di aziende.

Per contro uno studio dell’Ustat che ha messo in evidenza il calo dei salari mediani in termini nominali in sette sezioni economiche su 17 fra il 2008 e il 2016 non è stato ritenuto nemmeno degno di un comunicato stampa di accompagnamento, malgrado il Ticino risulti essere un caso unico in Svizzera.

Per garantire davvero un’informazione corretta e completa su tutti i temi ai cittadini è necessario quindi evitare che l’Ustat sia in balia delle preoccupazioni “alla moda” nel DFE.

Con la presente mozione chiediamo pertanto:

1) che l’Ustat non sia più subordinato al DFE e che si trovi una collocazione in seno all’amministrazione pubblica che tenga conto della trasversalità dell’attività statistica e del fatto che si tratta di uno strumento al servizio, non solo dell’amministrazione pubblica, ma di tutta la società.

2) che gli studi, i cambiamenti e le cifre di rilievo vengano annunciate tramite comunica stampa contenenti anche elementi di una corretta analisi, al fine di evitare che giornalisti poco esperti in materia diffondano notizie errate

* Mozione: del Gruppo MPS-POP-Indipendenti: Simona Arigoni, Angelica Lepori, Matteo Pronzini

1) Area, Le redini della statistica, 15.2.08

 

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