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François Chesnais, militante del NPA, portavoce di Attac!, collaboratore di “Le Monde Diplomatique”, riflette su una delle più importanti novità nella sinistra europea, passando in rassegna alcuni libri dedicati a Jeremy Corbyn, ma anche alla trasformazione profonda di un partito che sembrava avviato verso l’estinzione.

Alla fine del 2017, nel Regno Unito sono stati pubblicati due libri, entrambi in edizioni aggiornate e ampliate, che si occupano del netto spostamento a sinistra del Partito laburista – che ha ormai voltato la pagina del New Labour di Blair – e del percorso politico e della personalità del suo nuovo dirigente, Jeremy Corbyn. Trattandosi del maggiore partito socialista/socialdemocratico del mondo, forte oggi di 570.000 membri, basterebbe il suo successo elettorale del giugno 2017 con un programma chiaramente contro l’austerità a giustificare l’interesse per i suoi sviluppi.

La possibilità d’una vittoria del Labour in nuove elezioni, alle quali la crisi interna del Partito conservatore può portare in un futuro abbastanza prossimo, è un ulteriore stimolo alla loro lettura. Questa ci aiuta a capire come mai un anziano deputato che s’era fatto conoscere per il suo sostegno a molteplici cause progressiste – contro il nucleare, contro la guerra, contro l’apartheid, in difesa dei diritti degli omosessuali, a favore dell’accoglienza dei migranti – e per il suo costante rifiuto di votare a favore delle leggi austeritarie dei governi Blair [maggio 1997-giugno 2007] e Gordon Brown [giugno 2007-maggio 2010], sia riuscito a far convergere su di sé tre diversi processi: 1) quello, interno al Labour, della crescente resistenza dei militanti di base al programma thatcherista-blairista, mai completato, di distruzione dei servizi pubblici; 2) la decisione dei sindacati, fra i quali i due maggiori, di impegnarsi di nuovo nell’orientamento del partito, del quale sono una componente; 3) il fatto, infine, che migliaia di studenti e di militanti di varie associazioni abbiano deciso di fare del Partito laburista il proprio strumento politico per lottare contro il Partito conservatore e la City.

Il libro di Richard Seymour, Corbyn, The Strange Rebirth of Radical Politics (Verso, London 2017), si occupa inoltre in modo particolare degli attacchi senza tregua contro Corbyn da parte dei media dopo la sua elezione alla testa del Labour nel 2015 [1] e della tenace contestazione e denigrazione di cui è fatto oggetto dalla maggioranza dei deputati laburisti, molti dei quali sono ancora aggrappati al blairismo. L’altro libro, di Alex Nunns, The Candidate, Jeremy Corbyn’s Improbable Path to Power (OR Books, London 2017), è il frutto d’una ampia inchiesta fra i militanti e i simpatizzanti del Partito laburista, della quale l’autore aveva fatto un’anticipazione in un articolo pubblicato nel 2015 su «Le Monde Diplomatique» [2]. Vi si seguono le micro-evoluzioni politiche interne al Labour, esse stesse riflessi di profondi mutamenti sociali, che avevano saputo cogliere ben pochi osservatori britannici [3], e ancor meno lo avevano fatto gli editorialisti stranieri [4]. È poi prezioso per la messe d’informazioni fornita su Momentum, questa sorta di «movimento di movimenti» che ha garantito a Corbyn il massiccio sostegno, «nelle piazze, nei porta a porta, nelle urne», di decine di migliaia di giovani politicizzati.

L’esperienza britannica è contraddistinta da importanti aspetti sui generis. Questi consistono nella storia molto particolare del Partito laburista, nell’ampiezza e nell’intensità della mobilitazione dei giovani, nella direzione politica che questa mobilitazione ha imboccato. Alla fine del suo libro, Nunns si smarrisce un po’ fra i dettagli della campagna del 2017, per quanto interessanti possano essere. In compenso, Seymour conclude il suo sottolineando l’importanza delle forze sociali e degli ostacoli istituzionali con i quali un governo Corbyn, una volta eletto, dovrebbe fare i conti. E si interroga su quali misure Corbyn sarebbe in grado di prendere effettivamente.

Questa preoccupazione è anche alla base d’un terzo libro, molto più breve e d’altro tipo. È stato pubblicato da militanti dell’ala sinistra del partito, alla quale appartiene John McDonnell, braccio destro di Corbyn e cancelliere dello Scacchiere nel “Governo ombra” del New Labour. Si intitola For the Many: Preparing Labour for Power (a cura di Mike Phipps e con una prefazione di Ken Loach, OR Books, London 2017), e passa in rassegna il programma del Partito laburista nelle elezioni del giugno 2017, per vedere in cosa possa essere migliorato in occasione delle prossime scadenze.

Le elezioni generali del giugno 2017, preparate da quelle del 2016 e del 2016 in seno al Labour. L’8 giugno 2017 le elezioni legislative anticipate convocate dal Primo ministro Theresa May hanno visto il Partito laburista diretto da Jeremy Corbyn – storico capofila dell’ala antiblairista del New Labour – guadagnare oltre tre milioni e mezzo di voti in più rispetto alle elezioni precedenti, con un balzo in più del 9,6 % nella percentuale nazionale: e cioè il maggiore aumento a partire dal 1945. Nell’aprile, quando Theresa May aveva deciso di indire le elezioni, i sondaggi attribuivano al Partito conservatore il doppio dei voti dei laburisti. Il risultato del Labour nel giugno 2017 risulta tanto più spettacolare in quanto il suo programma elettorale, nettamente orientato a sinistra, rompeva nettamente con oltre un ventennio di blairismo e in quanto Corbyn era stato descritto dai media come un irresponsabile agitatore, appoggiato da un apparato politico caduto nelle mani dell’estrema sinistra. È in questo modo infatti che i media caratterizzavano la tendenza di sinistra Labour Representation Committee, alla quale appartiene McDonnell. E durante la campagna elettorale, una parte della destra blairista ha fatto apertamente propaganda contro i candidati corbynisti [5].

La situazione del dopo Brexit ha evidentemente pesato massicciamente nella sconfitta dei Tories [i conservatori] e in particolare in quella di Theresa May. Ma ha pesato almeno altrettanto il fatto che, per la prima volta dopo la sua sconfitta a opera di Margaret Thatcher nel 1979, il Labour sì è presentato con un programma nettamente di sinistra e con un dirigente in grado di farsi ascoltare dai giovani. I risultati non hanno fatto che confermare e confortare il processo che dapprima, nel settembre 2015, aveva visto Corbyn venire eletto alla testa del Labour con il 59,5 % dei voti in una consultazione aperta ai simpatizzanti (vedi più sotto); poi resistere, nel giugno 2016, a un tentativo dei parlamentari di costringerlo alle dimissioni [6]; per infine venire eletto dal 62 % dei delegati nel congresso del partito, nel settembre 2016. Tre fattori, come abbiamo già sottolineato, hanno consentito questo risultato: 1) il nettissimo rifiuto da parte delle strutture di base del partito delle posizioni assunte a Westminster [la sede del parlamento] dal gruppo parlamentare ancora controllato da Tony Blair dopo le sue dimissioni da Primo ministro nel 2007; 2) uno spostamento a sinistra dei sindacati, membri costitutivi del Partito laburista; 3) infine, il deciso appoggio di decine di migliaia di giovani politicizzati.

A questi occorre aggiungere un fattore proprio della Costituzione non scritta del Regno Unito, e cioè il suo sistema elettorale basato sullo scrutinio uninominale a un turno (first past the post), che stimola fortemente a tentare di fare del Partito laburista uno strumento di lotta. A causa di questo sistema elettorale, infatti, le piccole formazioni politiche, come per esempio il Partito verde, sono sempre rimaste escluse dal Parlamento. Lo stesso Partito per l’indipendenza del Regno Unito (UKIP), nazionalista e xenofobo, non ha potuto entrarvi prima del 2015. E la più grande organizzazione trotskista britannica, The Militant, a suo tempo ha deciso di diventare una tendenza in seno al Labour [7].

Per i conservatori come per i laburisti il sistema elettorale fa sì che le scissioni equivalgano a suicidi. E infatti oggi gli amici di Blair non vi pensano per niente, così come negli anni Ottanta aveva fatto l’ala sinistra organizzata attorno a Tony Benn. L’opposizione alle politiche neoliberali s’è dunque organizzata mediante lotte interne condotte sia dai sindacati, che ne sono una componente storica, sia dagli iscritti, nelle strutture di base delle circoscrizioni elettorali popolari. Prima ancora che i giovani gettassero nella battaglia le loro forze, nel corso di almeno un decennio si era assistito a micro-mutamenti politici di difficile apprezzamento, anche da parte di coloro stessi che ne erano protagonisti. Un partito cui Blair nel 1994 aveva modificato il nome in New Labour – e che la maggior parte degli osservatori riteneva irreversibilmente “blairizzato” -, s’è spostato a sinistra senza che quasi nessuno se ne accorgesse, fino al momento in cui, nel settembre 2015, Corbyn ha vinto a mani basse le elezioni interne svoltesi per corrispondenza.

Un partito fondato dai sindacati, sul quale esercitano una forte influenza. In occasione di queste elezioni, decisivo è stato il voto sindacale, e in particolare lo è stato il pubblico appoggio a Corbyn di due possenti federazioni: quella di Unison (impiego pubblico) e quella di Unite (lavoratori non specializzati, con tre milioni di aderenti).

I rapporti fra sindacalismo e politica in Gran Bretagna sono, sin dalle origini, molto diversi da quelli che vi sono in Francia, dove la Charte d’Amiens [Carta di Amiens] ha sancito una separazione fra sindacato e partito. Il congresso della CGT [Confederazione generale del lavoro] del 1906 sanciva infatti «la completa libertà del sindacalizzato di partecipare, al di fuori dei raggruppamenti corporativi [cioè: sindacali], a forme di lotta corrispondenti alla propria filosofia o politica, limitandosi a chiedergli, in cambio, di non introdurre nel sindacato le opinioni che professa al suo esterno […], non dovendo preoccuparsi le organizzazioni confederate, in quanto raggruppamenti sindacali, dei partiti e delle sette che, esternamente e indipendentemente da loro, perseguono in piena libertà la trasformazione sociale».

Proprio nella stessa epoca, in Gran Bretagna i dirigenti sindacali lavoravano alla formazione del Partito laburista, la cui fondazione sembrava a loro indispensabile nel momento in cui il suffragio censitario cominciava a cedere il passo a quello universale (si dovrà attendere il 1918 perché quest’ultimo sia definitivamente adottato). Essi si erano avvicinati dapprima al Partito liberale, che aveva appoggiato alcuni candidati operai. Ma questa soluzione era poco soddisfacente, e ci si orientava verso una rappresentanza politica indipendente degli operai. Quello stesso periodo aveva visto la nascita di diversi piccoli gruppi socialisti, fra i quali il Partito laburista indipendente (ILP) – negli anni Trenta ne farà parte George Orwell – e la Fabian Society, che raggruppava intellettuali e professionisti delle classi medie. Alcuni sindacalisti più audaci cercavano il modo di arrivare a un avvicinamento.

Nel 1899 Thomas Steels, del sindacato dei ferrovieri, propone alla sua sezione di chiedere all’organizzazione confederale Trade Union Congress (TUC), che raggruppa tutti i sindacati, di convocare un congresso straordinario con l’obiettivo di unire i sindacati e i gruppi di sinistra in un’organizzazione unitaria, per appoggiare dei candidati nelle elezioni. La proposta viene accettata dal TUC.

Il congresso si tiene nel 1900, e i sindacati vi sono rappresentati da circa un terzo dei delegati [8]. Il congresso approva la mozione del dirigente del Partito laburista indipendente, Keir Hardie, che propone di formare «un gruppo proprio dei lavoratori in Parlamento, che avrà le sue indicazioni di voto e adotterà politiche che comprenderanno la possibilità di cooperare con qualunque partito impegnato nella promozione di leggi nell’interesse dei lavoratori». Nasce così il Labour Representation Committe (LRC), primo embrione del Partito laburista, il cui compito iniziale è quello di coordinare l’appoggio ai deputati iscritti ai sindacati o che rappresentano gli interessi della classe operaia. Nel 1906 assumerà il nome di Labour Party.

Non è facile riassumere in poche righe oltre un secolo di rapporti fra sindacati e Labour. Il Labour è stato al governo varie volte, con maggioranze molto diverse, e con rapporti di forza con il capitale e relazioni con i sindacati egualmente diverse, a seconda del periodo. In Gran Bretagna non vi è stato un giugno 1936 [9], ma le grandi conquiste sociali del 1945 erano state preparate dall’ascesa e dal rafforzamento dei sindacati nel corso degli anni Trenta, mentre al governo si succedevano coalizioni capeggiate dal Partito conservatore. A mano a mano che la Seconda guerra mondiale si profilava come inevitabile, anche il padronato s’era visto costretto ad accettare che i sindacati sedessero accanto a lui nelle commissioni tripartite formate per l’occasione. La loro forza era tale che nel 1940 Ernest Bevin, all’epoca segretario nazionale del potente sindacato degli operai dei trasporti (che comprendeva i portuali) e dei lavoratori non specializzati (in seguito diventato l’Unite) era entrato nel governo Churchill come ministro dei Trasporti.

Il governo laburista del 1945 ha annoverato diversi ministri che avevano iniziato la loro carriera come quadri sindacali. Le riforme sociali degli anni 1945-1948 marcano l’apogeo dell’influenza della classe operaia. Il periodo che segue è caratterizzato da rapporti complicati, con rifiuti di soddisfare le rivendicazioni operaie e ingerenze nel campo delle conquiste sociali. L’alternarsi di laburisti e conservatori al governo ha posto i sindacati in una situazione difficile: spesso non si sono opposti al governo di turno, trovandosi in conflitto con la loro base.

L’arrivo al governo del New Labour nel 1997 e la decisione ostinata di Blair di non mettere mano alla legislazione varata dalla Thatcher hanno provocato forti tensioni e una rottura completa con i sindacati sul piano sociale [10], con ripercussioni sul funzionamento interno del Partito laburista. Di conseguenza, i sindacati dei marittimi e dei pompieri si sono disaffiliati (opt out) dal New Labour, mentre Unison e Unite vi sono rimasti. L’affiliazione comporta pesanti impegni finanziari per i sindacati, ma anche una dipendenza dal partito. A lungo essa ha assegnato ai dirigenti sindacali un considerevole potere, che derivava dalla regola del voto bloccato nei congressi. Ma dopo aspri scontri, gli statuti sono stati cambiati. Dal 2013 i membri dei sindacati affiliati non diventano automaticamente anche membri del Partito laburista, ma devono aderirvi individualmente (opt in). Comunque, nonostante tutte queste difficoltà, l’appartenenza dei sindacati al Labour ha conferito alle strutture del partito un elevato grado di solidità e ha costretto i suoi dirigenti a difendere [di fronte ai sindacati] la loro politica. Blair nel 1999 ha potuto rifiutare di modificare le leggi thatcheriane, ma gli sarebbe stato impossibile fare ciò che la Thatcher aveva fatto: spezzare prima lo sciopero dei minatori e poi, più tardi, quello dei portuali, per imporre la flessibilità nel lavoro e la precarizzazione degli impieghi. Oggi, dopo diversi mutamenti negli statuti, la capacità dei sindacati di pesare nelle decisioni del Labour dipende molto meno dai posti nella direzione attribuiti loro d’ufficio e molto più dalla partecipazione dei loro aderenti alla vita e alle attività del partito.

Una struttura di base in cui gli aderenti pesano molto. Il Partito laburista è di gran lungo strutturato in modo meno piramidale della maggior parte degli altri partiti. È addirittura quasi bicefalo. La parola Labour ricopre due strutture diverse, anche molto diverse: il Parliamentary Labour Party, che raggruppa tutti i deputati, e il – o più esattamente i – «partiti di circoscrizione, Constituency Labour Party (CLP), che raggruppano gli aderenti del partito di ciascuna delle 600 circoscrizioni elettorali [cioè i collegi uninominali] del Regno Unito. Il partito di circoscrizione corrisponde grosso modo a quella che è (o era) la sezione nel Partito socialista in Francia.

Vediamo il «grosso modo». La “voce” di Wikipedia sul Partito socialista francese ci dice che «la sezione è la struttura militante di base: sono le sezioni che organizzano l’affissione dei manifesti, la distribuzione dei volantini, la propaganda porta a porta, eccetera. Sono egualmente esse che costituiscono il tramite essenziale fra il “nazionale” (la direzione nazionale), la “fédé” (federazione dipartimentale), gli eletti e i militanti, ed è al loro interno che si svolgono i dibattiti, sia in occasione di congressi o di discussioni locali» [11].

Nel caso del Labour, il CPL non è un “tramite”, ma una struttura che gode di grande autonomia. La forte presenza di militanti sindacali pesa molto in questo senso. Il CPL è suddiviso in branche locali più piccole, ed è diretto da un comitato esecutivo e da un comitato generale composti dai delegati delle varie branche, dei sindacati affiliati e delle associazioni di sinistra presenti nella circoscrizione [12]. In queste istanze, ma anche nel corso di assemblee generali, i CPL affrontano tutti i problemi che concernono i cittadini sul piano municipale e i salariati per quanto riguarda gli aspetti della loro vita al di fuori delle fabbriche.

I CPL si sono trovati sempre più alla sinistra del partito parlamentare e, a eccezione del periodo 1945-1951, più a sinistra dei governi laburisti [13], non solamente in materia di politica economica e sociale, ma anche sulle questioni di politica internazionale. L’esistenza dei partiti di circoscrizione è stata alla base della legittimazione dei portavoce della sinistra laburista, e in particolare negli anni Ottanta di Tony Benn. Questi ha incarnato l’opposizione a Blair in occasione della proclamazione del New Labour “thatcherizzato”, ed è al suo fianco che Corbyn ha condotto le sue prime battaglie. I militanti di sinistra dei “partiti di circoscrizione” si sono dotati, nel 1980, di un bollettino di collegamento mensile, a forte tiratura, il Labour Briefing, diffuso all’inizio nelle sezioni della Grande Londra, poi su scala nazionale. Il bollettino è diventato l’organo del Labour Representation Committee dopo che questo fu rifondato nel 2004. Spesso descritto come un ricettacolo di trotskisti, la sua figura più in vista è quella di McDonnell.

A partire dal governo Blair, il divorzio fra partiti di circoscrizione e governo si è fatto particolarmente netto. Per quanto riguardava la sua politica economica, naturalmente, ma anche in fatto di politica estera. Nel 2003 la decisione di Blair di invadere l’Iraq a fianco a George W. Bush ha diviso il partito in due ai Comuni [la Camera dei deputati], con 254 voti a favore [dell’intervento], 153 contrari e una astensione. E Jeremy Corbyn era in prima fila nella manifestazione del 15 febbraio 2003, che ha radunato tre milioni di persone contro l’invasione dell’Iraq: la più massiccia manifestazione politica che vi sia mai stata in Inghilterra [14].

Spetta ai CPL designare i candidati sia nelle elezioni municipali, sia in quelle generali. I candidati al parlamento vengono scelti, in linea di principio, fra una lista di pre-candidati approvata a livello nazionale. Se vengono scelti al di fuori della lista, la decisione deve essere ratificata dal comitato esecutivo nazionale. Per valutare il peso che gli iscritti hanno nella scelta degli eletti, si pensi che in occasione d’una elezione municipale Tony Blair s’era visto respingere la candidatura nella sua circoscrizione e che ha faticato non poco per ottenere quella per candidarsi per Westminster [15]. Il New Labour è stato sottoposto a profondi mutamenti, che nelle intenzioni avrebbero dovuto scongiurare l’apparire del fenomeno Corbyn. Come ha sottolineato Thierry Labica, il New Labour non si riduceva a un insieme di misure politiche, ma rappresentava anche un nuovo modo di funzionare del partito, una nuova correlazione dei rapporti di forza interni.

Là dove prima prevaleva una distribuzione a livello federale delle forze in seno al partito, le riorganizzazioni interne degli anni Ottanta e Novanta hanno fatto in modo di emarginare e indebolire le componenti organizzate (sindacati, sezioni locali) in grado di intervenire sull’orientamento del partito, per sostituirle con una scala gerarchica in discesa, con al vertice una élite di professionisti, esperti in comunicazione e strategie elettorali, e alla base una periferia di simpatizzanti e di aderenti, neutralizzati all’interno di un complesso sistema di meccanismi istituzionali […]. I congressi cessano di essere momenti di elaborazione programmatica, a vantaggio di un “National Policy Forum”, al di fuori della portata dei non iniziati. Per non fare che un esempio del nuovo potere di controllo politico in seno al New Labour, basti dire che quando l’intervento militare in Iraq a fianco di Bush ha suscitato le più ampie manifestazioni di massa della storia del Paese ed è stata la causa immediata di dimissioni di massa fra gli iscritti, l’organismo congressuale (Labour Party Conference) è riuscito a impedire ogni dibattito o mozione sull’argomento [16].

Nella sua prefazione al libro For the Many, citato più sopra, Ken Loach esorta i militanti a esercitare fino in fondo il diritto di scegliere i candidati nelle elezioni future. Corbyn e McDonnell non riuscirebbero a fare granché al governo senza l’appoggio d’una forte maggioranza di deputati orientati a sinistra. Sono le posizioni politiche di ogni deputato quelle che renderanno possibile la traduzione in leggi del programma elettorale e il loro grado di radicalità. Ma anche il pieno esercizio del diritto di designazione dei candidati riuscirà forse a compensare il fatto che la composizione sociale delle circoscrizioni è stata modificata, spesso notevolmente, dalla deindustrializzazione e dalla diminuzione del peso sociale e politico degli operai che ne è derivata [17]. Di qui la grande importanza della mobilitazione dei giovani per Corbyn. (Continua)

Note

[1] Si veda, in francese, Thierry Labica, Détruire l’ennemi: les conservateurs et les forces médiatiques, in «Contretemps», dicembre 2016: www.contretemps.eu/labica-corbyn-medias/

[2] Alex Nunns, Jeremy Corbyn, l’homme à abattre, in «Le Monde Diplomatique», ottobre 2015. [La traduzione italiana è disponibile nel pdf di «Le Monde Diplomatique» dell’ottobre 2015 nel sito de il manifesto. La versione originale francese di questo articolo, come di quello citato alla nota 5, è disponibile nel sito di Le Monde Diplomatique]

[3] Così, per esempio, un anno prima del successo elettorale del partito con la direzione di Corbyn, il titolo dell’editoriale di «The Economist» del 17 settembre 2016, Britain’s One Party State, riassumeva le conclusioni di un lungo articolo che considerava la conquista della presidenza da parte di Corbyn come l’espressione di una marginalizzazione del Labour, destinata ad accentuarsi.

[4] «Il Partito laburista», scriveva per esempio Le Monde il 19 aprile 2017, «potrebbe giocarsi la propria unità, e anche la propria sopravvivenza, nelle elezioni legislative anticipate dell’8 giugno. Sono sufficienti due dati per riassumere lo stato di estremo degrado del Labour: solo il 15 % dei britannici ritiene che il suo leader Jeremy Corbyn “sarebbe il miglior primo ministro”, mentre fra gli stessi elettori laburisti questa quota non arriva al 30 %».

[5] Si veda la seconda parte dell’articolo di Paul Mason, Elections, club-sandwich et nids de poule au Royaume Uni, in «Le Monde Diplomatique» dell’aprile 2017: www.monde-diplomatique.fr/2017/06/MASON/57562

[6] Si veda https://www.telesurtv.net/english/opinion/Anatomy-of-a-Failed-Coup-in-the-UK-Labour-Party-20160707-0009.html

[7] Diretta da Ted Grant, questa corrente trotskista è entrata nel Labour e vi ha esercitato una certa influenza negli anni 1980-1985. Se ne può trovarne un’accurata analisi in Wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/Militant_(Trotskyist_group)

[8] Si veda: https://en.wikipedia.org/wiki/Labour_Party_(UK)?oldid=644343999

[9] [Allusione al grande sciopero generale, sfociato poi nella formazione del Fronte popolare. Ndt]

[10] Formalizzata nel congresso della TUC a Blackpool, nel 1999. Si veda: https://www.theguardian.com/politics/1999/sep/14/tuc.uk7

[11] Si veda https://fr.wikipedia.org/wiki/Parti_socialiste_(France)#Instances_locales

[12] Si veda https://labour.org.uk/about/how-we-work/

[13] Henry Pelling, A Short History of the Labour Party, Macmillan, 1986, pagg. 183 e 187.

[14] Si veda http://revolts.co.uk/?p=932

[15] Si veda https://en.wikipedia.org/wiki/Tony_Blair#Early_political_career

[16] Thierry Labica, cit. Sulla crisi del Partito laburista nel 2016: https://www.contretemps.eu/corbyn-labour-labica/

[17] Un processo di cui rende ben conto l’articolo di Paul Manson citato alla nota 5.

Titolo originale: Jeremy Corbyn, la reconquête du Parti travailliste par la gauche et ses perspectives gouvernementales, pubblicato su sito di A l’encontre l’11 aprile 2018:

http://alencontre.org/europe/grande-bretagne/jeremy-corbyn-la-reconquete-du-parti-travailliste-par-la-gauche-et-ses-perspectives-gouvernementales.htm

Traduzione dal francese di Cristiano Dan.

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