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La decisione del governo italiano di estrema destra di chiudere i porti allo sbarco dei profughi raccolti nel Mediterraneo dalle ONG, che per altro si attengono al “codice Minniti” dello scorso anno, tutto può rappresentare tranne che una sorpresa. Se un leghista come Matteo Salvini può assumere l’incarico di ministro dell’interno senza alcuna reazione degna di nota, allora perché ci si meraviglia che poi attui ciò che predica da sempre?

Ciò di cui ora dovremmo prendere atto è il ritardo colossale con cui ci stiamo rendendo conto, solo in una minoranza molto residuale, dell’incapacità patente che abbiamo avuto nel comprendere dove l’Italia stava andando a finire. Questo governo e la svolta a destra dell’opinione pubblica italiana emersa con le elezioni del 4 marzo è prima di tutto il risultato della debolezza della sinistra, istituzionale e non. Ci si è limitati a inseguire gli altri sul loro terreno, soprattutto quello elettorale, senza capire che era il modo migliore di rafforzare le spinte reazionarie e xenofobe, soprattutto quando si travestivano da “nuovismo” e “lotta alle caste privilegiate”.

Quando il fenomeno delle piazze riempite dai vuoti proclami di Beppe Grillo fece la sua comparsa, l’estrema sinistra invece di cogliere la semplicità di ciò che stava avvenendo, iniziò una rincorsa tanto inutile quanto dannosa a “decostruire il fenomeno Grillo”, accettandone nei fatti le premesse. Bastava che le piazze gridassero contro le caste privilegiate (quella politica e quella sindacale in particolare) per rendere agli occhi di molti a sinistra interessante e in alcuni casi inaggirabile il nascente movimento. Fiumi di inchiostro e di parole sono andati sprecati per decodificare un fenomeno che ciclicamente caratterizza le società in crisi e che in genere non ha il lieto fine, senza riuscire a comprendere che il grillismo era un fenomeno non da “accogliere” ma da stigmatizzare perché rappresentava un pesantissimo passo indietro nella presa di coscienza collettiva. Ma la crisi della sinistra italiana rimonta a ben prima la comparsa del grillismo, la mancanza di volontà di fare dei bilanci seri sulle origini di quella crisi è la causa principale del disorientamento che oggi regna sovrano.

Oggi tutto questo diventa tragicamente evidente. Non è particolarmente sorprendente che una volta di più siano i migranti e i profughi che chiedono asilo in Europa a smascherare tutte le ipocrisie. La “Fortezza Europa” risale agli anni novanta del secolo scorso. Oggi, con il precipitare di moltissime crisi internazionali, è quel percorso che giunge al culmine, le politiche securitarie e repressive per gestire l’arrivo di profughi e migranti da decenni caratterizzano i diversi governi che si sono succeduti nel nostro Paese. Non è un caso se oggi un personaggio ambiguo, inquietante e pericoloso come Marco Minniti e l’intero Partito Democratico, cercando di cavalcare l’indignazione per la vicenda della nave Aquarius (e in questi giorni della Lifeline), pur volendo accreditarsi come “accoglienti” battano sempre sullo stesso tasto: con il nostro governo gli sbarchi sono diminuiti fino all’ottanta per cento. Senza neppure un cenno di vergogna nello spiegare come sia riuscito ad ottenere il brillante risultato: gli accordi con il governo libico di Al Sarraj e le bande armate che lo sostengono che a suon di soldi hanno accettato di detenere in carceri disumane migliaia di persone (uomini, donne, vecchi e bambini).

La debolezza e la frammentazione della sinistra, politica e sindacale, ha favorito tanto i governi di centro-sinistra quanto quelle organizzazioni populistiche che vi si opponevano solo con grandi vuoti slogan, ma che nella realtà non proponevano alcun progetto di realistico cambiamento delle condizioni sociali gravate dalla crisi economica, in via di superamento solo per le classi dirigenti e padronali. Per questo motivo fondamentale la “svista” sul movimento 5 Stelle è stata tanto più grave. Infatti, nel giro di pochi anni, dall’exploit elettorale del 2013 le posizioni dei 5 Stelle hanno rapidamente abbandonato quel velo di sinistra in tutti i discorsi.

I 5 Stelle hanno molto più in comune con i Fratelli Musulmani egiziani che con qualunque tradizione di sinistra. Il paragone può essere ardito, ma quanto è accaduto in Egitto nel 2012 quando Mohammed Morsi, candidato dei Fratelli Musulmani, vinse largamente le prime elezioni del post-Mubarak con lo slogan “Il Corano è la soluzione” dovrebbe essere per noi una lezione. Quell’esperienza, come sappiamo è finita nel sangue ed ha aperto la strada alla dittatura di Abdel Fattah Al Sissi, il generale chiamato al governo dallo stesso Mohammed Morsi. Anche in Egitto il movimento di opposizione al governo Morsi, Tamarrod, che giustamente contestava i provvedimenti accentratori, lo stravolgimento della costituzione e lo stato di polizia, ha commesso l’errore fatale di credere che Al Sissi potesse essere un “incidente” passeggero. Oggi il popolo egiziano sa, purtroppo, a sue spese che così non era.

Pur con le debite differenze tra l’Italia e l’Egitto, allo stesso modo i 5 Stelle hanno costruito il loro consenso su degli slogan (“Tutti a casa” ( i politici) e “Onestà, onestà”) buoni solo a disorientare. Privi di progetti veri hanno puntato tutto sulla denuncia della corruzione, questo ha creato a sinistra l’illusione che potessero rappresentare un’alternativa. Non era necessario un genio per capire che così non era, non è e non sarà. Nella confusione generalizzata molti si sono uniti al coro distruttore del vecchio sistema, senza comprendere minimamente i rischi che si correvano a scambiare la causa con l’effetto. Un esempio per tutti: l’attacco al sindacato. Certo nessuno qui vuol difendere le direzioni sindacali di CGIL, CISL e UIL che con il consociativismo hanno di fatto accelerato la distruzione di quasi tutti i diritti ottenuti con decenni di lotta. Ma denunciare il consociativismo è un conto, accettare gli attacchi al sindacato in quanto tale da parte di Luigi Di Maio (attuale ministro del lavoro, dello sviluppo economico con la delega alle telecomunicazioni e che nel tempo libero vende uova…) è tutta un’altra storia.

Il più pulito ha la rogna!

Lo scontro con la Francia descrive in maniera chiarissima la confusione. Il coro che si è alzato da ogni direzione contro le dichiarazioni del portavoce di En Marche, che definiva “abominevole” la chiusura dei porti alle navi delle ONG conferma quanto poco si sia compresa la crisi europea. La Francia, come d’altronde la stragrande maggioranza dei Paesi che aderiscono all’Unione Europea, respinge i “suoi” profughi. Se nel Paese di Victor Hugo e della Comune di Parigi le politiche di esclusione sociale, economica, politica, culturale e religiosa dei francesi di seconda e terza generazione non fossero una tristissima realtà da molti anni è assai probabile che non sarebbero esistite le basi per gli attentati terroristici che hanno colpito la Francia dal gennaio 2015 in avanti. Ancora: la Francia è uno dei tanti Paesi europei che non riesce a fare i conti con il suo passato coloniale. Tutto questo, però, non giustifica l’accettazione del piano di discussione imposto dal nostro governo: la Francia non può dare lezioni di accoglienza all’Italia. È vero, perché l’Italia è un Paese inospitale per profughi e migranti quanto la Francia.

Accettare l’ondata nazionalistica scatenata dal presunto scontro Macron-Salvini significa non comprendere che, ancora e senza vergogna, coloro che cercano di difendere i 5 Stelle da “sinistra” in realtà difendono un blocco di governo razzista, le cui decisioni ben presto riguarderanno la vita quotidiana di tutti noi.

Il piano della discussione e della reazione dovrebbe essere tutt’altro: il rifiuto di ogni restrizione perché il contrario vuol dire accettare l’idea che siano sopportabili le stragi nel Mediterraneo o i cadaveri di giovani che riemergono allo scioglimento della neve morti di freddo mentre tentavano di attraversare le Alpi.

Nell’agosto del 2015, quando l’arrivo dei profughi dalla Turchia ha mandato in frantumi il “volto umano” dell’Unione Europea e degli accordi che regolavano la “libera circolazione”, perfino la cancelliera Angela Merkel non ha potuto che aprire le sue frontiere. Anche in quel caso era chiaro che fare il contrario significava per il governo tedesco dover accettare la prospettiva di rendersi artefice di una situazione che alla fine si sarebbe rivelata ingestibile.

Ma la mala gestione del fenomeno migratorio, che si è molto nutrita in questi ultimi anni anche con le ipocrisie patenti dell’Occidente in moltissime crisi internazionali in primis quella siriana, è stata la base dello spostamento a destra dell’opinione pubblica a livello mondiale. Spesso, accecati da un localismo impressionante e soffocante, dimentichiamo questo dato di fondo. La peculiarità italiana, negativa, è l’assenza di capacità di risposta. Dall’Austria all’Ungheria e alla Polonia, senza ovviamente dimenticare la Francia, i governi di destra o estrema destra che si sono insediati più o meno di recente hanno visto una reazione con proteste in piazza. E non è perché quelle proteste non hanno vinto che siano state inutili.

È chiaro oggi, molto più di qualche tempo fa, che la questione si pone su un livello europeo e internazionale. Per questo motivo è assai preoccupante il fatto che anche a sinistra in Italia una certa intellighenzia sia tentata di accettare il fondo della canea nazionalistica. Dovremmo aver imparato che a inseguire le pulsioni della destra è questa a uscirne vittoriosa. In questo senso è profondamente sbagliato assecondare il sentimento antifrancese (sulla questione dei profughi) o quello antitedesco sulla questione dell’austerità economica. I due piani sono strettamente collegati: la soluzione della crisi economica, notoriamente, non risiede nel chiudere le frontiere. Lo scontro internazionale sui dazi è lì a dimostrarlo.

A questo proposito è emblematico come una parte della sinistra anche di quella radicale accetti la teoria dell’ “aiutiamoli a casa loro”, che un tempo significava sostenere le guerre di liberazione nazionali dal colonialismo europeo e statunitense (dall’Indocina all’Africa, passando per il Vicino Oriente), mentre ora in realtà equivale ad allinearsi con l’apoteosi dello sfruttamento post coloniale di interi continenti. In questo senso ancora una volta lo smarrimento e la scomparsa di ogni movimento in Occidente di sostegno alle lotte contro i dittatori locali e alla corruzione, come di ogni coerente opposizione alla guerra ha favorito l’ascesa delle destre a livello mondiale. Per l’ennesima volta si è fatta confusione tra la causa e l’effetto, la vittima e il carnefice.

Anche nella sinistra (ripetiamo: istituzionale e non) italiana negli ultimi anni molte teorie un tempo rifiutate hanno trovato legittimità. Ormai è lecito accettare le teorie strampalate sulle ONG. Quando Marco Minniti iniziò il suo attacco al “mondo dell’accoglienza”, coadiuvato dalla procura di Catania che sequestrò l’imbarcazione di una ONG tedesca, il ministro dell’interno del governo di Paolo Gentiloni girava le feste del PD dicendo che l’arrivo incontrollato di profughi e migranti stava creando nel nostro Paese una “emergenza democratica”. Riferendosi con queste affermazioni al montante razzismo che ovviamente il governo PD ben guardandosi dal contrastare intendeva avallare e sfruttare. Alle decisioni di Marco Minniti, dal suo “codice di comportamento per le ONG” fino agli accordi col governo libico di Al Sarraj, non vi è stata alcuna opposizione degna di nota. Nei mesi successivi a quelle sciagurate misure l’ondata xenofoba e razzista in Italia è andata aumentando arrivando a livelli esponenziali e culminando con la tentata strage fascista a Macerata. In quell’occasione, una svolta fondamentale nella crisi della sinistra italiana, emerse in modo esemplare quanto pesassero le contraddizioni e la frammentazione. L’esito elettorale del 4 marzo è il frutto di anni di arretramento non solo elettorale, ma soprattutto politico e culturale a cui nessuna forza organizzata di sinistra ha saputo dare una risposta e neanche indicare un percorso per uscirne.

Oggi, coloro che da sinistra rivendicando il proprio appoggio al movimento 5 Stelle e di fatto appoggiano il governo di estrema destra ripetono che gli ambienti dell’accoglienza sono infestati dalla corruzione (lo scandalo di Roma Capitale, secondo loro lo dimostrerebbe), che i centri di accoglienza soprattutto del sud Italia, partendo da quello di Mineo in Sicilia, sono gli strumenti con cui il crimine organizzato fa affari d’oro. Tutto questo il movimento antirazzista lo denuncia dagli anni novanta del secolo scorso, ma perché metteva in discussione le basi stesse delle leggi che fin dal 1992 avevano come obiettivo quello di chiudere le cosiddette frontiere sud dell’Europa, creando quella “Fortezza Europa” che oggi conosciamo. Ma tutto questo nulla ha a che vedere con la criminalizzazione generalizzata delle organizzazioni non governative che pattugliano il Mediterraneo in soccorso dei naufraghi, né con il dovere di accoglienza (che fa parte della nostra Costituzione e del diritto internazionale). Nessuno nega che esista un traffico lucrosissimo di esseri umani, ma di questo le origini sono nelle élite locali con cui l’Occidente fa accordi e con cui i ministri degli interni della UE vogliono discutere (previo pagamento di prebende milionarie) per bloccarne il flusso, non certamente nelle navi delle ONG nel Mediterraneo.

È semplicemente scioccante assistere allo spettacolo disgustoso di quanti hanno combattuto le leggi Turco-Napolitano e Bossi Fini che oggi invece difendono la chiusura dei porti italiani alle navi delle ONG chiesta da Matteo Salvini e avallata da Danilo Toninelli. I commenti sprezzanti e francamente idioti sulle immagini diffuse dall’equipaggio della nave Aquarius all’arrivo al porto di Valencia dei naufraghi che cantavano e applaudivano per la fine della loro odissea si sono sprecati a sinistra. Perché di fatto si è fatta una gran confusione su cosa significhi rimettere in discussione quella unità europea che punta all’esclusione dei più, con i proclami di Salvini che continua a ripetere che “ora l’Italia si fa sentire in Europa”. Senza più la capacità di fare osservazioni elementari sulle spacconate di questo governo razzista. Infatti, quando la Lega e i 5 Stelle sono felici di aver contribuito a far saltare la riunione per la ridiscussione dei trattati di Dublino, in pochi hanno notato che il cosiddetto “Asse Roma-Vienna-Berlino” come quello con i Paesi del gruppo di Visegrad mette insieme Stati che hanno in materia di accoglienza e di concessione del diritto di asilo interessi contrastanti, perché se l’Italia punta a una politica più decisa sulla ripartizione di quanti arrivano, gli altri Paesi puntano all’esatto contrario. Infatti, al “contro vertice” organizzato dall’Ungheria di Orban a cui è stato invitata l’Austria, non solo “l’amico” Salvini non è stato invitato, ma la “contro bozza” va in direzione esattamente opposta alle richieste italiane, salvo che su un punto: la blindatura delle “frontiere esterne” dell’Europa, ossia la militarizzazione del Mediterraneo. In ogni caso, questo “blocco” anti Merkel-Macron è diviso al suo interno anche perché i Paesi che ne fanno parte o vi aspirano a farne parte come l’Italia, in realtà non possono far a meno della UE.

In questo quadro sembra sempre più evidente che più che le questioni monetarie (sì o no alla moneta unica) a rappresentare il pericolo vero e più immediato per l’Unione Europea è la questione dei migranti. Perché reintrodurre definitivamente i controlli alle frontiere (soprattutto quelle terrestri), cosa che alcuni Paesi come la Francia hanno già fatto dal 2016, alla lunga danneggerà gli scambi commerciali.

In tanti cadono anche nella trappola di indicare come responsabile unico di questa ondata di razzismo governativo Matteo Salvini ed ora con le differenziazioni timide dei 5 Stelle sulla proposta del censimento di Rom, Sinti e Caminanti, pensano di trovare conferma. Ma così non è e soprattutto tutti costoro ignorano le conseguenze più drammatiche che vi saranno nel profondo del Paese. Dall’omicidio di Soumayla Sacko fino agli spari nel casertano a due profughi maliani al grido di “Salvini!”, passando per l’omicidio di Firenze, il razzismo quotidiano, il rifiuto e la paura dell’Altro, fondati sui pregiudizi si vanno consolidando perché la svolta politica a destra degli italiani è reale e non fittizia.

In questo quadro, lo ripeteremo fino allo sfinimento, gli errori della sinistra non sono un dettaglio, ma la base. Alcuni giustamente, sottolineano un’altra sconcezza sconcertante: cercare di usare Marx e il marxismo per giustificare l’ondata di razzismo in atto nel nostro Paese. Una ripetizione della sciocchezza detta all’epoca dell’elezione di Donald Trump che tanti (veramente troppi!) vedevano come il difensore degli interessi dei lavori statunitensi per le sue spinte protezionistiche.

Oggi, con le immagini che arrivano dal Texas delle migliaia di bambini separati dai loro genitori e rinchiusi come animali nelle gabbie, forse qualcuno comincia a capire l’errore tremendo commesso, come la sottovalutazione delle tante e grandi manifestazioni contro Donald Trump. Quell’errore di valutazione, giustificato dal fatto che quelle proteste negli Stati Uniti erano in parte cavalcate dai Democratici, è lo stesso che impedisce, per esempio, di comprendere le poche manifestazioni di protesta in tante città italiane contro la decisione di chiudere i porti. Si è detto, spesso ancora si ripete, sono cavalcate dal PD di Minniti, Renzi, Gentiloni. Certo! E dov’è la notizia? Chiaramente ora il PD tenta di accreditarsi come l’unica opposizione a questo governo, ma in nome di quelle politiche, in tutti i campi, che alla Lega e ai 5 Stelle hanno spianato la strada. Ma il disertare quelle manifestazioni è la via giusta? No, se non si è in grado di sottrarre quella parte di opinione pubblica italiana ancora non succube delle peggiori pulsioni alla deriva della rassegnazione.

Una buona sintesi di tutto questo disastro ce la offre una risposta di Domenico Quirico alla lettera indignata di una signora per un suo articolo da Valencia dal titolo Spagnoli brava gente:

Gentile signora Franchi,

Zapatero? Sanchez? La brava gente era quella che stava sul molo di Valencia, così umile e vera, simile a quella che ha aperto le braccia a Lampedusa dove arrivai naufrago con i migranti nel 2011, a Pozzallo e in tutti gli altri luoghi del nostro tempo migliore che profeti bugiardi hanno imbottito di veleno. «I proletari non hanno patria» diceva Marx. E aveva ragione. Sì: da sempre nomadi, un tempo dalle campagne miserande alle città delle botteghe del Capitale. Oggi il filosofo li riconoscerebbe a prima vista, i suoi: i migranti proletari come noi siamo stati prima di loro, come mai prima d’ora. Attraverso il Mediterraneo, attraverso montagne e deserti, ai confini di frontiere senza pietà, il Texas e i Balcani, Melilla e Lampedusa , i nuovi proletari del ventunesimo secolo sono davanti a noi , in mezzo a noi, zoccolo duro della massa inesistente, composta dagli ultimi arrivati. Costretti a fare tutto, dire e vivere rapidamente, in un respiro. Perché qualcuno può arrivare, per portare tutto verso il nulla. L’ospitalità oggi è ancor più preziosa che ai tempi dei patriarchi e dei greci dell’Iliade: perché non è un rito, è un dono.

Coloro che oggi pensano, magari partendo da prospettive apparentemente opposte, che questa svolta italiana verso l’estrema destra possa rimettere in discussione quella Europa ingiusta ed escludente, non capiscono un fatto elementare. L’Europa che hanno in testa Salvini, Di Maio, Meloni e molti altri non è l’Europa che ci appartiene e se non ci opporremo oggi ad essa presto ci soffocherà.

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