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Il problema di quello che viene denominato “lavoro gratuito” sta emergendo all’attenzione del dibattito pubblico e politico.

Non che, in un passato anche recente, il fenomeno del lavoro gratuito non sia stato segnalato: a volerla prendere alla larga il rapporto di lavoro nel capitalismo moderno è fondato, in un certo senso, sul lavoro gratuito: altro non è infatti il lavoro non pagato alla base della quale vi è il plusvalore o, come direbbero gli economisti neoclassici, il valore aggiunto.

Ma, tralasciando questo aspetto di fondo, altri esempi di lavoro gratuito prestato su larga scala sono da sempre legati alla organizzazione del sistema produttivo: non bisogna fare molte indagini approfondite per comprendere, ad esempio, che in molti settori professionali gli apprendisti dell’ultimo anno di tirocinio hanno un rendimento, di fatto, paragonabile a quello di un lavoratore ormai qualificato: vengono tuttavia pagati un quarto o un quinto rispetto ad un lavoratore qualificato (anche se spesso il loro lavoro viene fatturato ai clienti come quello di un lavoratore qualificato: consultare la fattura di un’impresa di elettricità o di impianti sanitari per credere!) . Un esempio chiaro di lavoro gratuito su larga scala.

In questo senso il lavoro gratuito si identifica prima di tutto come lavoro sottopagato rispetto a quanto le condizioni salariali vigenti prevedono in una determinata professione o in un determinato settore (affermatesi attraverso regolamentazioni contrattuali o attraverso il criteri d’uso).

Ma, restringendo e precisando ulteriormente il punto di osservazione, emerge il ricorso al lavoro gratuito (in particolare nella forma dei cosiddetti “stage”) inteso come periodo di lavoro a tempo determinato, considerato e presentato come periodo di “osservazione” sulle attitudini del lavoratore o della lavoratrice, necessario per poi passare, eventualmente, ad un’assunzione definitiva. Per questa ragione vengono giustificati o il mancato versamento di un salario o il versamento di un salario che somiglia molto di più ad un piccolo rimborso spese (naturalmente, questo, nella migliore delle varianti: quando cioè lo stage non serve a camuffare una semplice “supplenza”, cioè un lavoro a termine, camuffata).

In altri casi lo stage è una necessità per il lavoratore. Alcune scuole professionali chiedono agli studenti che vogliono essere ammessi a particolari professioni di frequentare prima dell’inizio della scuola degli stage, anche di una certa durata: pensiamo ad alcune professioni sociali della SUPSI, alla scuola per infermieri, etc. È evidente che le richieste di queste scuole, di fatto creano un’offerta sul mercato del lavoro della quale approfittano datori di lavoro, pubblici e privati, non sempre animati dalle migliori intenzioni. Il fatto che poi questi stage non siano di fatto poco regolati e che chi li deve seguire non abbia altra scelta, rende il potere negoziale degli stagisti praticamente nullo.

Inutile aggiungere che, spessissimo, questo periodo di stage non ha come esito l’assunzione dello stagista, trasformando così lo stage in un periodo di lavoro spesso di pura “manovalanza” (anche se in settori sulla carta “qualificati”), con un salario ridottissimo, vedi inesistente, in condizioni nelle quali anche l’autostima del lavoratore subisce colpi pesanti.

Abbiamo denunciato a più riprese queste situazioni, anche a livello pubblico. Vorremmo qui richiamare il caso di un doposcuola di Bellinzona che lavorava (lavora ancora?) con metà del proprio professionale (una quindicina su trenta addetti) che godevano dello statuto di stagista. Questo caso era esemplare poiché conteneva, in una sola situazione, diversi degli elementi che abbiamo qui sopra richiamati.
Primo tra tutti l’utilizzazione di manodopera a basso costo per rispondere a un bisogno sociale non coperto dall’ente pubblico (in questo caso la città di Bellinzona) che “appalta” ad un’azienda privata il compito senza curarsi delle condizioni di lavoro (e delle qualifiche) del personale. Vi è poi la presenza di personale assunto però come stagista. Infine vi è un vero e proprio dumping salariale poiché il personale qualificato viene pagato, in mancanza di norme contrattuali precise, ben al di sotto di quanto viene pagato il personale qualificato attivo, ad esempio, nelle strutture pubbliche. Il risultato è che, in questo caso, la presenza massiccia di stagisti permette di avere complessivamente un costo del lavoro medio per posto di lavoro che non supera i 2’000 franchi mensili.

Si tratta, evidentemente, di un caso limite; ma illustra abbastanza bene la potenza disgregatrice sulle condizioni di lavoro e di salario che può assumere l’utilizzazione di stagisti senza regole precise che ne tutelino le condizioni di lavoro.

Come detto in molti settori dell’amministrazione cantonale, da parte di molti comuni, da parte di enti pubblici e para-pubblici vengono assunti stagisti per svolgere mansioni relative a posti che sono di fatto posti fissi. Ad esempio vi è stato un periodo – o continua ancora ? – nel quale l’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC) offriva posti di stage a giovani diplomati della Scuola Cantonale di Commercio a condizioni di salario che non superavano di molto i 1’000 franchi mensili.

Tutto questo non può continuare. È necessario che il Cantone vari norme precise a tutela di condizioni di lavoro e di salario che impediscano che gli stage diventino una pratica che di fatto favorisce il dumping salariale e sociale.

Per questo presentiamo la seguente mozione:

1. Il governo si impegna a varare una legge sulla regolamentazione degli stage presso imprese pubbliche e private.

2. Questa legge – facendo riferimento alle disposizioni di legge federali e cantonali già esistenti – permetterà di fissare una serie di condizioni, in particolare:
– ogni contratto di stage deve assumere la forma scritta e dovrà essere notificato alle autorità cantonali;
– nessuno stagista (a parità di tempo di lavoro e di attività svolta) potrà ricevere un salario inferiore a quello più basso pagato nell’azienda per la quale lavora;
– nessun contratto di stagista potrà eccedere i tre mesi ed essere prolungato per attività interne alla stessa azienda;

3. Il governo si impegna fin dall’accettazione di questa mozione ad applicare le disposizioni previste al punto 2 della mozione stessa.

4. Qualora la mozione non fosse approvata il governo si impegna comunque ad applicare unilateralmente le diposizioni previste al punto 2 della mozione.

* Mozione al Consiglio di Stato del 23 luglio 2018 del Deputato MPS Matteo Pronzini.

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